martedì 22 maggio 2012

Da "The Fielder"

Gli anatemi contro i liberisti


English version.
A chi attribuire la colpa della crisi che stiamo vivendo? Per alcuni è facile rispondere. Gli imputati sono il libero mercato, i liberisti e le loro ricette da apprendisti stregoni. E così può accadere, sempre più spesso, di imbattersi in novelli Savonarola che lanciano i propri anatemi. Come questoarticolo, apparso circa un mese fa su AgoraVox.
Il pezzo, che ha come argomento principale una strenua difesa dell’articolo 18, è di fatto un vero e proprioj’accuse contro il libero mercato, reo di essere alfa ed omega della crisi. Ma è davvero così? E’ questa la risposta alla nostra domanda iniziale? Ovviamente no. Incolpare il liberismo – che senza remore viene definito “il problema, non la soluzione” dell’attuale situazione, è il risultato frettoloso di un’analisi sbrigativa ed imprecisa, alla quale va opposta una più attenta considerazione dei fattori che hanno condotto al disastro. Un approccio di questo tipo sarebbe anche molto più intellettualmente onesto verso le molte persone che vorrebbero – e meriterebbero – risposte serie e argomentate. Anche se sicuramente è molto più facile indicare alla massa un capro espiatorio da odiare.
La crisi finanziaria americana innescata nel 2007 dalla sovraesposizione degli istituti di prestito immobiliare è solo il punto di rottura che segna, di fatto, la fine del sistema monetario imperniato sul dollaro come valuta di riserva internazionale. “I mutui subprime che ci hanno fregato tutti”, come vengono definiti su AgoraVox, sono in realtà la scontata conseguenza della negazione dei principi del liberismo e di una lunga e consapevole distorsione del libero mercato da parte della Federal Reserve Bank.
Il crack affonda le sue radici nel 2001, quando per combattere la recessione – verificatasi dopo lo scoppio della bolla del NASDAQ nel 2000 – Alan Greenspan manipolò i tassi di interesse portandoli ad un valore artificiale estremamente basso: dal 6,5% del 2001 all’1% del 2003. Quando nel giugno del 2006 vennero lentamente riportati al 5,25%, si crearono le condizioni ultime per il terremoto sul mercato immobiliare. I tassi d’interesse, manipolati al ribasso, erano stati ottenuti inflazionando l’offerta di moneta: tale operazione va contro ogni logica del liberismo. Non si può certo accusare il libero mercato di essere causa della bolla immobiliare, come invece sentenzia con disinvoltura l’autore dell’articolo: “… la crisi è nata dalla troppa libertà economica Usa”. Non è così. La crisi è nata dalla negazione di tale libertà, e dalle azioni sconsiderate della FED che hanno distorto irrimedibilmente il mercato. Proprio l’interventismo ed il “credito facile” orchestrati dalla FED negli anni precedenti hanno generato una ricchezza illusoria ed il conseguente crollo del risparmio privato: l’euforia dei mutui facili si trasformò in disastro nel 2007.
L’espansione creditizia artificiale provocata dalle banche centrali ha di fatto causato profondi squilibri nell’economia mondiale: a forti shock dovuti all’espansione monetaria sono sempre seguiti shock di carattere recessivo, come quello attuale che stiamo vivendo o come quello che colpì gli USA nel ’29. Ed è paradossale che la FED e Ben Bernanke, ed in parte anche la BCE, piuttosto che favorire un riassestamento – anche doloroso – del sistema, abbiano compiuto scelte che, anzi, aggravano la crisi e la perdurano nel tempo. Quindi, invece d’individuare nel libero mercato il nemico, si dovrebbe seriamente riflettere sul ruolo delle banche centrali nel sistema economico dei Paesi. Più precisamente, ci si dovrebbe domandare se un organo di pianificazione centrale finanziaria sia realmente in grado di decidere – o forse sarebbe meglio dire prevedere – la politica monetaria più adatta in ogni periodo.
Un altro fattore determinante per la crisi è stata la promulgazione nel 1999 da parte di Bill Clinton della legge bancaria Gramm-Leach-Bliley Act, che sostituito il precedente Glass-Steagall Act del 1933. La caduta della differenziazione tra banca commerciale e banca d’investimento ha permesso il ricorso a strumenti strutturati per ripartire il rischio connesso all’attività tipica della banca sui mercati, consentendo la diffusione di quei prodotti che oggi sono chiamati “titoli tossici” all’interno dei portafogli degli investitori. Per quanto questa venga spesso considerata come una “liberalizzazione selvaggia” del settore bancario, essa è stata più che altro un favore bipartisan Repubblicano-Democratico alle lobbies – più precisamente a Citicorp, la seconda banca più grande degli Usa, fusa nel 1998 con la compagnia assicurativa Travelers Group dando vita a Citigroup – che ha ulteriormente distorto il mercato. Ciò, unito alle manovre delle banche centrali sui tassi di interesse e all’economia americana fondata sul debito, ha generato le bolle degli anni 2000.
Possiamo dunque comprendere che analizzare una crisi come quella in atto non è affatto semplice, né tantomeno immediato. Anziché generalizzare ed indicare nel libero mercato il nemico, addirittura puntando l’indice in maniera inquietante contro la libertà economica, bisognerebbe al contrario capire come fare per riacquisire la libertà perduta, erosa dall’arroganza delle istituzioni economiche e politiche . E’ qualunquista voler accumunare le esperienze liberiste di Argentina Russia, Polonia e Messico, e metterle tutte nello stesso calderone, come a voler denunciare il perenne fallimento del liberismo ovunque applicato. Fino a prova contraria, l’unico sistema che ha sempre fallito è stato quello della pianificazione economica di stampo comunista e socialista.
Quindi, lasciamo da parte gli anatemi, e speriamo piuttosto che prima o poi una rivoluzione liberale e liberista sia possibile anche in Italia, e che non sia ormai troppo tardi per rimediare agli errori commessi.

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