Le scuole private a basso costo stanno rivoluzionando l'istruzione nei paesi in via di sviluppo
di James Tooley
Nel campo dell'istruzione, una vera e propria rivoluzione sta investendo i paesi in via di sviluppo. Nei quartieri degradati e nelle baraccopoli dell'Asia e dell'Africa proprio i più poveri stanno abbandonando in massa le scuole pubbliche, scoraggiati dalla bassissima qualità dell'insegnamento. I loro figli vengono mandati sempre più spesso in scuole private “low cost” che stanno cambiando il volto di quei paesi.
In dieci anni di ricerche in Africa, India e Cina, ho catalogato e più recentemente contribuito allo sviluppo di scuole private a buon mercato. Per chi vuole capire in che modo i più umili sanno “aiutarsi da sé”, si tratta di una vicenda esaltante.
Non molto tempo fa mi trovavo nella baraccopoli di Makoko, in Nigeria, dove centomila persone abitano in capanne di legno edificate su trampoli sulle torbide acque della laguna di Lagos. All'entrata del quartiere si trovano tre scuole pubbliche, uno a fianco all'altra. Visitarle è un'esperienza deprimente: in una classe l'insegnante dorme della grossa. In un'altra 95 allievi stanno seduti a non far niente, mentre il maestro legge il giornale. Altri insegnanti sono assenti.
Ma si può raccontare anche una storia diversa. Nella baraccopoli, ci sono 32 scuole private a basso costo scoperte dai miei ricercatori. Qui i maestri fanno il loro lavoro con impegno, anche perché, se dovessero addormentarsi davanti ai loro allievi, verrebbero immediatamente licenziati. Gli imprenditori che hanno fondato queste scuole sanno di dover rispondere ai loro clienti: ai genitori. Un esempio rappresentativo è Kps: la Scuola Privata di Ken Ade. La scuola è stata fondata nel 1990 con appena cinque allievi in una stanza messa a disposizione da una chiesa. I genitori pagavano la retta giorno per giorno, quando potevano permetterselo. Oggi la scuola ha 200 allievi. La retta è di circa 4 dollari al giorno, più o meno pari all'8% di quello che può guadagnare in un mese un pescatore, ma 25 ragazzi la frequentano gratuitamente: «Se un bambino è un orfano che posso fare? Mandarlo via?», mi dice il proprietario.
Il mio team di ricerca ha passato al setaccio i quartieri degradati di altre città in Nigeria, Ghana, Kenya e in India, entrando direttamente in tutte le scuole, pubbliche e private. Quello che abbiamo scoperto è straordinario: nelle zone povere che abbiamo esaminato la stragrande maggioranza degli studenti frequenta scuole private a buon mercato. Per esempio, nelle zone più povere dell'area di Lagos il 75% degli scolari frequenta scuole private.
Molti genitori hanno provato le scuole pubbliche, ma ritengono che non siano abbastanza buone per i loro figli e, quindi, li hanno riportati in quelle private a basso costo. Questo fenomeno è particolarmente acuto nei paesi che hanno recentemente introdotto l'istruzione pubblica gratuita, come ad esempio il Kenya.
Parlando con il padre di una ragazzina di Kibera (una delle borgate più grandi dell'Africa) ho saputo che l'uomo aveva iscritto la figlia alla scuola pubblica situata alla periferia del quartiere quando era diventata gratuita, ma ben presto era rimasto sfavorevolmente colpito dall'enorme dimensione delle classi e dalla disattenzione degli insegnanti.
È bellissimo parlare con questi genitori. A sentire chi si oppone all'istruzione privata a basso costo, si direbbe che i genitori più poveri non abbiano la capacità di prendere le decisioni giuste circa l'istruzione dei propri figli. Parlare con questi padri e queste madri dimostra quanto sia falso questo assunto. Una famiglia che ho conosciuto bene ha mandato la figlia a una scuola privata in un villaggio di pescatori sulla costa del Ghana. I genitori hanno pensato a lungo prima di scegliere la scuola della figlia. Joshua, il padre, un pezzo d'uomo che esce in barca tutte le notti alle 3 per pescare, me l'ha spiegato così: «Mio padre non mi ha permesso di andare a scuola. Io voglio fare di tutto affinché mia figlia possa avere un buona istruzione. Il motivo per cui le scuole private sono migliori è che c'è un proprietario. Se non insegni come ci aspettiamo, vieni licenziato».
L'articolo è un estratto dell'intervento tenuto ieri da James Tooley all'incontro organizzato dalla Fondazione Milano per l'Expo 2015 e dall'Istituto Bruno Leoni.
Da Il Sole 24 Ore, 21 gennaio 2011
In dieci anni di ricerche in Africa, India e Cina, ho catalogato e più recentemente contribuito allo sviluppo di scuole private a buon mercato. Per chi vuole capire in che modo i più umili sanno “aiutarsi da sé”, si tratta di una vicenda esaltante.
Non molto tempo fa mi trovavo nella baraccopoli di Makoko, in Nigeria, dove centomila persone abitano in capanne di legno edificate su trampoli sulle torbide acque della laguna di Lagos. All'entrata del quartiere si trovano tre scuole pubbliche, uno a fianco all'altra. Visitarle è un'esperienza deprimente: in una classe l'insegnante dorme della grossa. In un'altra 95 allievi stanno seduti a non far niente, mentre il maestro legge il giornale. Altri insegnanti sono assenti.
Ma si può raccontare anche una storia diversa. Nella baraccopoli, ci sono 32 scuole private a basso costo scoperte dai miei ricercatori. Qui i maestri fanno il loro lavoro con impegno, anche perché, se dovessero addormentarsi davanti ai loro allievi, verrebbero immediatamente licenziati. Gli imprenditori che hanno fondato queste scuole sanno di dover rispondere ai loro clienti: ai genitori. Un esempio rappresentativo è Kps: la Scuola Privata di Ken Ade. La scuola è stata fondata nel 1990 con appena cinque allievi in una stanza messa a disposizione da una chiesa. I genitori pagavano la retta giorno per giorno, quando potevano permetterselo. Oggi la scuola ha 200 allievi. La retta è di circa 4 dollari al giorno, più o meno pari all'8% di quello che può guadagnare in un mese un pescatore, ma 25 ragazzi la frequentano gratuitamente: «Se un bambino è un orfano che posso fare? Mandarlo via?», mi dice il proprietario.
Il mio team di ricerca ha passato al setaccio i quartieri degradati di altre città in Nigeria, Ghana, Kenya e in India, entrando direttamente in tutte le scuole, pubbliche e private. Quello che abbiamo scoperto è straordinario: nelle zone povere che abbiamo esaminato la stragrande maggioranza degli studenti frequenta scuole private a buon mercato. Per esempio, nelle zone più povere dell'area di Lagos il 75% degli scolari frequenta scuole private.
Molti genitori hanno provato le scuole pubbliche, ma ritengono che non siano abbastanza buone per i loro figli e, quindi, li hanno riportati in quelle private a basso costo. Questo fenomeno è particolarmente acuto nei paesi che hanno recentemente introdotto l'istruzione pubblica gratuita, come ad esempio il Kenya.
Parlando con il padre di una ragazzina di Kibera (una delle borgate più grandi dell'Africa) ho saputo che l'uomo aveva iscritto la figlia alla scuola pubblica situata alla periferia del quartiere quando era diventata gratuita, ma ben presto era rimasto sfavorevolmente colpito dall'enorme dimensione delle classi e dalla disattenzione degli insegnanti.
È bellissimo parlare con questi genitori. A sentire chi si oppone all'istruzione privata a basso costo, si direbbe che i genitori più poveri non abbiano la capacità di prendere le decisioni giuste circa l'istruzione dei propri figli. Parlare con questi padri e queste madri dimostra quanto sia falso questo assunto. Una famiglia che ho conosciuto bene ha mandato la figlia a una scuola privata in un villaggio di pescatori sulla costa del Ghana. I genitori hanno pensato a lungo prima di scegliere la scuola della figlia. Joshua, il padre, un pezzo d'uomo che esce in barca tutte le notti alle 3 per pescare, me l'ha spiegato così: «Mio padre non mi ha permesso di andare a scuola. Io voglio fare di tutto affinché mia figlia possa avere un buona istruzione. Il motivo per cui le scuole private sono migliori è che c'è un proprietario. Se non insegni come ci aspettiamo, vieni licenziato».
L'articolo è un estratto dell'intervento tenuto ieri da James Tooley all'incontro organizzato dalla Fondazione Milano per l'Expo 2015 e dall'Istituto Bruno Leoni.
Da Il Sole 24 Ore, 21 gennaio 2011
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