domenica 24 luglio 2011

Petizione prezzo dei libri

Altra cosa, ben più importante: ho sentito Alberto Mingardi via mail
che sarà probabilmente con noi in Versilia per una tea party-festa ad
Agosto e ci ha invitato a supportare la loro petizione a Napolitano
contro l'assurda legge del tetto di sconto per i libri. Vi prego
dunque di mettere il vostro nome in calce al seguente articolo:
http://www.chicago-blog.it/2011/07/24/disciplina-del-prezzo-dei-libri-petizione-al-presidente-della-repubblica/
e a diffonderlo il più possibile.
Un abbraccio a tutti,
David

Hoppeano

Camillo Langone in versione hoppeana, da leggere e diffondere:

http://www.ilfoglio.it/preghiera/524

giovedì 21 luglio 2011

Gli ordini e la Manovra

Tratto da Il Legno Storto del 15 luglio 2011

di Vito Foschi

In questi giorni di turbolenze sui mercati con il differenziale fra Bund e Btp ai massimi, e con il rendimento dei Bot al 3,67% si è stati costretti ad approvare la manovra finanziaria in tutta fretta per evitare conseguenze ben peggiori. Un aumento dei tassi interessi oltre a causare un aumento dei costi di finanziamento del debito pubblico rischiando di vanificare gli effetti della manovra provoca il deprezzamento del valore dei BTP che debbono allinearsi al nuovo tasso. Questo aggrava i problemi delle banche italiane grande detentrici di BTP. Di fatto si troverebbero nella necessità di svalutare i titoli che hanno in pancia con le ovvie ripercussioni sul valore delle loro azioni. Insomma un effetto a catena dagli effetti quantomeno pericolosi.
In questo contesto si è inserita la discussione della finanziaria e dell’ormai famigerato emendamento che introduceva l’art. 39 bis che avrebbe abolito gli ordini professionali e liberalizzato il settore delle professioni. Questo emendamento ha scatenato l’ira dei parlamentari avvocati e notai appartenenti al Pdl che hanno minacciato di non votare la fiducia alla finanziaria se non veniva bloccato il famoso art. 39 bis. A loro si sono aggiunti i rappresentanti delle professioni minacciando scioperi e stracciandosi le vesti per il fatto di essere stati equiparati alle imprese. Su quest’ultimo punto, chiederei ai liberi professionisti se lavorano per la gloria e non per portare la pagnotta a casa come tutti gli altri uomini e donne.
Al di là di considerazioni sulla necessità o meno dell’abolizione degli ordini professionali, istituiti, non dimentichiamolo, dal regime fascista, e dal canto nostro ci schieriamo apertamente con l’abolizione e per un sistema di libere associazioni in concorrenza fra loro, quello che colpisce è la difesa corporativa ad oltranza. Nella situazione di emergenza che stiamo vivendo in questi giorni, con il non tanto remoto rischio di default, colpisce l’ostinazione degli ordini che antenpogono i loro interessi personali a quelli del paese. Anche le opposizioni con tutti le giravolte del caso hanno in qualche modo offerto la loro collaborazione di fronte all’emergenza. Invece avvocati e notai di fronte all’emergenza cosa fanno? Minacciano di non votare la manovra. Siamo ragionevoli e quindi capiamo la difesa corporativa, ma di fronte al rischio di default, la cosa lascia sinceramente allibiti.
Infine l’emendamento è stato stralciato dalla finanziaria ripiegando su una più generica riforma da fare più in là e questo la dice lunga sul potere di interdizione degli ordini professionali. Questo fa nascere seri dubbi sulla reale possibilità di fare una riforma degli ordini professionali. Se di fronte al rischio default è prevalso l’interesse corporativo, in una situazione normale cosa potranno fare Parlamento e Governo? Ci si chiede se il Parlamento rappresenti veramente gli elettori o se sia solo una dipendenza degli ordini professionali, perché di fatto hanno dimostrato un’enorme potere di interdizione, in particolare avvocati e notai.
Considerato ciò, ci permettiamo di chiedere ai rappresentanti di tali categorie di far approvare un emendamento per una sforbiciata alle tasse, per l’eliminazione delle provincie ed infine, dato che le imprese fanno loro orrore, per privatizzare Eni, Enel, Finmeccanica, Poste e Rai.
Concludendo, questo emendamento è l’emblema della situazione italiana, dove il potere di interdizione delle lobbies blocca qualsiasi possibilità seria di riforma lasciando sprofondare il paese sempre più nella stagnazione economica e nei debiti.

venerdì 15 luglio 2011

Tassa sul divorzio e sulle cause di lavoro

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

di Galgano Palaferri*


Se un antico proverbio ci ricorda che la a mamma degli scemi è sempre incinta, quella dei politici ladri sforna parti plurigemellari.

Dal “Sole24ore” apprendiamo increduli che con l’ultima manovra è stata inventata una gabella anche per le coppie che non vanno più d’accordo.

Di seguito l’articolo:

“Un’altra tegola per i coniugi che si apprestano a diventare ‘ex’. Per fare domanda di separazione si dovrà infatti pagare il contributo unificato: 37 oppure 85 euro a seconda che la procedura sia consensuale o no. Nelle pieghe del decreto legge della manovra, all’interno del capitolo «Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie», c’è infatti una norma che cancella un riferimento nell’elenco dei procedimenti da svolgere in tribunale per i quali non si paga nulla.

Si tratta del ‘capo’ relativo ai procedimenti in materia di famiglia. Da mercoledì (data di entrata in vigore della manovra), la presentazione in tribunale della domanda di separazione personale non è più senza oneri. I richiedenti devono infatti versare il contributo nelle due misure stabilite dalla manovra stessa: nel caso si scelga la via consensuale, bisogna pagare 37 euro; nel caso invece la crisi coniugale abbia anche scatenato questioni patrimoniali o relative alla prole, ed è dunque richiesto l’intervento del giudice, il contributo balza a 85 euro.

La tassazione più alta colpisce anche i procedimenti di modifica delle condizioni stabilite nel corso della separazione stessa, come l’assegno di mantenimento o interventi legati alla prole o l’assegnazione della casa familiare. Secondo la relazione tecnica della manovra, il contributo dovrebbe comportare un gettito di circa 10 milioni e mezzo (grosso modo un ottavo dei maggiori proventi derivanti dal complesso degli aumenti sulla tassa-giustizia). Stime basate sui dati 2010, in cui si sono registrati quasi 114mila separazioni e oltre 66mila divorzi. Nel 70% dei casi la strada è stata quella consensuale”.



Dal “Sole24ore” apprendiamo increduli che con l’ultima manovra è stata inventata una gabella anche per le coppie che non vanno più d’accordo.

Di seguito l’articolo:

“Un’altra tegola per i coniugi che si apprestano a diventare ‘ex’. Per fare domanda di separazione si dovrà infatti pagare il contributo unificato: 37 oppure 85 euro a seconda che la procedura sia consensuale o no. Nelle pieghe del decreto legge della manovra, all’interno del capitolo «Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie», c’è infatti una norma che cancella un riferimento nell’elenco dei procedimenti da svolgere in tribunale per i quali non si paga nulla.

Si tratta del ‘capo’ relativo ai procedimenti in materia di famiglia. Da mercoledì (data di entrata in vigore della manovra), la presentazione in tribunale della domanda di separazione personale non è più senza oneri. I richiedenti devono infatti versare il contributo nelle due misure stabilite dalla manovra stessa: nel caso si scelga la via consensuale, bisogna pagare 37 euro; nel caso invece la crisi coniugale abbia anche scatenato questioni patrimoniali o relative alla prole, ed è dunque richiesto l’intervento del giudice, il contributo balza a 85 euro.

La tassazione più alta colpisce anche i procedimenti di modifica delle condizioni stabilite nel corso della separazione stessa, come l’assegno di mantenimento o interventi legati alla prole o l’assegnazione della casa familiare. Secondo la relazione tecnica della manovra, il contributo dovrebbe comportare un gettito di circa 10 milioni e mezzo (grosso modo un ottavo dei maggiori proventi derivanti dal complesso degli aumenti sulla tassa-giustizia). Stime basate sui dati 2010, in cui si sono registrati quasi 114mila separazioni e oltre 66mila divorzi. Nel 70% dei casi la strada è stata quella consensuale”.


MA NON E' FINITA.

La manovra TREMONTI introduce la TASSA per le CAUSE di LAVORO: un provvedimento ODIOSO da respingere per ristabilire la gratuità del Processo del lavoro e previdenziale. DALLA PARTE DEI PIU' DEBOLI.

La manovra di Tremonti (decreto legge 98/2001) ha introdotto l’obbligo del versamento del «contributo unificato» anche per le cause di lavoro, già dal primo grado di giudizio: è una tassa odiosa da eliminare; la misura colpisce sia i dipendenti pubblici che privati (sono esentati solo coloro che hanno un reddito annuo lordo inferiore a 21.256 euro). Finora tutte le cause di lavoro erano esenti dal pagamento di questa tassa: un’esenzione giusta considerando che il lavoratore è parte debole di fronte alle aziende, una gratuità che è stata riconosciuta per poter meglio tutelare i diritti dei lavoratori di fronte all’arroganza del padronato. Già con la Legge Finanziaria 2010, il Governo aveva introdotto la tassa per i ricorsi in Cassazione, ma da oggi il versamento del «contributo unificato» diviene obbligatorio già dal primo grado di giudizio, una tassa che, se pur diversificata secondo il reddito del lavoratore e secondo il valore della causa, disincentiva un diritto fondamentale dei lavoratori: basti pensare che per impugnare un licenziamento si dovrebbero pagare, da subito, più di 500 euro. Dopo il Collegato Lavoro, che ha introdotto scadenze capestro per impugnare i licenziamenti e i contratti precari, il Governo si accanisce ulteriormente introducendo nuovi ostacoli: pagare una nuova tassa prima ancora di iniziare una causa. Il provvedimento, avendo effetto immediato, sta già procurando gravi danni ai lavoratori, con blocchi dell’avvio delle cause e le richieste di pagamento della nuova tassa.

Di altre misure, altrettanto odiose, come la reintroduzione dei tickets sanitari e sul pronto soccorso in codice bianco, o l'ennesimo aumento delle accise sui carburanti, già sono stati scritti post e versati fiumi di inchiostro, non ci ripetiamo.


Che dire? Probabilmente solo che la vergogna non ha residenza nei dintorni di Palazzo Chigi, ma in altri luoghi, altre dimore, altre magioni, occupate a loro insaputa, dai "potenti" si turno.


TUTTO QUESTO SI CHIAMA CASTA. E NOI CONTINUAIAMO AD ESSERE SERVI. SCHIAVI. DI LORO SIGNORI. UNITI, DX, SX, CENTRO, PER DIFENDERE I LORO PRIVILEGI. CHE SQUALLORE.

FINO A QUANDO TUTTO CIO'?!

*Dott. Galgano PALAFERRI
Direzione Nazionale P.L.I.
Segretario "Presidio Liberale Città di Torino Luigi EINAUDI"
Coordinatore Nazionale Unione per le Libertà


venerdì 8 luglio 2011

Sindacati e distribuzione dei redditi


di Vito Foschi

Da “Capitalismo e libertà” di Friedman cap. 8

“Giacché in genere i sindacati sono particolarmente forti tra i gruppi che riceverebbero comunque un salario più alto, il loro effetto è stato quello di far sì che lavoratori ben pagati ottenessero un salario ancora più alto a spese dei lavoratori meno pagati. I sindacati, quindi, non hanno solo danneggiato la popolazione nel suo complesso e l’insieme dei lavoratori in virtù delle distorsioni nell’utilizzo della forza lavoro, ma hanno anche fatto sì che le diseguaglianze tra i lavoratori aumentassero, riducendo le opportunità disponibili per i lavoratori meno avvantaggiati”

Questo passo di Friedman sembra attagliarsi alla situazione italiana odierna, dove i sindacati continuano ad essere bravi a difendere chi ha un contratto a tempo indeterminato o una pensione a scapito di tutti gli altri. Così in azienda si ha la situazione assurda di lavoratori intoccabili ed altri che sono poco più che carne da macello. Emblematico è stato l’abolizione del cosiddetto scalone, ovvero si è mandato in pensione uno o due anni prima gente con il posto sicuro aumentando i prelievi contributivi sulla gestione separata ovvero sui precari. Detto in altri termini, i precari hanno finanziato la pensione di chi aveva il contratto a tempo indeterminato: dal povero al ricco.
Attualmente l’apparente positività del bilancio INPS è dovuta esclusivamente alla gestione separata, i soldi dei precari, che versano senza avere diritto a niente. Una trasferimento netto di ricchezza dalle tasche dei precari a quelli con il posto fisso. La tanto decantata redistribuzione dei redditi non dovrebbe essere qualcosa di diverso?