di Vito Foschi
Il film Banana Joe fa parte di uno dei tanti filoni della commedia italiana indirizzato ad un pubblico di bambini e famiglie, cosa sempre positiva. La trama è semplice, piena di buoni sentimenti, debitrice del mito del buon selvaggio, reinterpretato per la bisogna e ricucito sul simpatico Bud Spencer, che è anche l’autore del soggetto. In breve, il classico film per famiglie che nella semplicità e nell’economia di mezzi serve a far passare allegramente un po’ di tempo. Sembrerebbe, quindi, uno di quei film che non hanno nulla dire, ma in realtà, ad un esame poco più attento, è in grado di insegnare molto, in particolare sul rapporto fra individuo e società e di quello fra individuo e Stato.
Il protagonista è Banana Joe che vive in una foresta commerciando banane. L’uomo è analfabeta, fatto importante, ma in grado di provvedere a sé e di aiutare il prossimo, dato che provvede al sostentamento di alcuni bambini. Un individuo perfettamente integrato nella società in cui vive che oltre a lavorare per sé dedica parte delle proprie risorse alla comunità da cui è ricambiato dall’affetto. Nel villaggio in cui vive, lo Stato non esiste e gli abitanti sono lasciati a loro stessi. Lo stesso Banana Joe non possiede documenti che testimoniano la sua nascita ed il suo piccolo commercio è ovviamente fatto senza licenza statale.
Fermiamoci ad esaminare questa situazione. La prima cosa che possiamo notare è che la società preesiste allo Stato e semmai è lo Stato che in qualche modo discende dalla società. Gli uomini nascono, crescono, amano, lavorano, commerciano, si organizzano in comunità anche senza che esista uno Stato qualsiasi che fornisca un qualche bene pubblico. Banana Joe anche senza documenti esiste e vive. E la sua mole è quasi simbolicamente l’affermazione della voglia di esistere. Certo il film è cucito sul corpulento personaggio di Bud Spencer, ma non è semplicemente casuale. Quando più tardi il buon Banana Joe si scontrerà con l'impiegato dell’anagrafe come si potrà negarne l’esistenza?
Il villaggio, nel cuore della foresta, vive e cresce nella mancanza dello Stato e i cosiddetti beni pubblici che dovrebbero essere forniti dallo Stato, sono forniti dal privato, ovvero nel film, da Banana Joe che con la sua barca trasporta gratuitamente beni per la comunità. È indubitato che questa parte del film è tributaria del mito del buon selvaggio creato da Cristoforo Colombo, però rileva inconsciamente che la società preesiste allo Stato e che può esistere una società senza Stato.
Questa è la parte iniziale del film in cui ci viene presentato il protagonista per poi passare alla parte in cui sorgono le sfide che l’eroe deve affrontare. E come si presentano i problemi per il nostro eroe? Con l’appalesarsi dello Stato, of course! Dopo anni passati a commerciare banane gli viene chiesto di avere la licenza di commercio, oggetto misterioso per l’analfabeta Banana Joe. Il commercio è semplice: vendere le banane in cambio di beni per sé e per il villaggio. Cosa c’è da capire? Cosa è ‘sta licenza? Vi rendete conto di come la nostra mente sia malata di statalismo? Per noi è naturale chiedere licenze, concessioni, sottostare a tutti una serie di cervellotiche assurdità burocratiche, ma che cavolo c’entra tutto questo con il vendere banane? O con qualsiasi attività economica? Le cose si producono e si vendono, tutto il resto semplicemente è un sovrappiù. Quindi la prima comparsa dello Stato nel film, è per frapporre ostacoli al libero commercio di Banana Joe e la conseguente crisi del villaggio dato che il commerciante garantisce tutta una serie di servizi alla comunità.
All’eroe bisogna imporre un nemico ed ecco comparire un gangster che vuole impiantare una coltivazione di banane nell’idilliaco villaggio, con annessa casa da gioco in cui riprendersi i soldi degli operai della piantagione. Anche qui ritorna il mito del buon selvaggio, che vive nella semplicità e nell’assenza del vizio rappresentato nel film dalla casa da gioco e con la civiltà vista come distruttrice dell’idillio. In realtà non è proprio così e lo vedremo in seguito.
Intanto voi pensate che il gangster si presenti con la violenza per impiantare la sua piantagione e costruire la sua casa da gioco? Ma no! Lui le licenze le possiede e pretende che lo Stato gli tolga dai piedi Banana Joe che si frappone ai suoi piani. Ancora una casualità? Il delinquente che si fa forte dello Stato? O semplicemente una convergenza di interessi fra criminali, il predone singolo che si allea con il grande predatore statale contro la singola persona che soccombe? Se ci pensate, quante imprese italiane vivono grazie agli appoggi statali più o meno palesi a danno delle persone?
Fortunatamente il film è a buon fine e il nostro eroe raccoglie la sfida per ottenere la sconosciuta licenza. Nel frattempo, Banana Joe, conosce un truffatore che cerca di imbrogliarlo. Personaggio indubbiamente comico questo truffatore, ma che alla fine sarà la salvezza di Joe. Il truffatore rappresenta una sorta di Robin Hood, con la sua abilità nell’inganno, caratteristica che gli permette di sopravvivere ai soprusi dello Stato. Un’indicazione per il cittadino italiano?
Vediamo qualche altro dettaglio della trama. Il nostro eroe cerca di ottenere la licenza, ma ciò è impossibile perché lui non esiste all’anagrafe. Bellissima, ma realistica, la scena del rimpallo fra uno sportello ed un altro. Gli viene consigliato di fare il servizio militare per ottenere l’iscrizione all’anagrafe: gli viene imposto di lavorare gratis per lo Stato per un anno per dimostrare che esiste! Ma ci rendiamo conto dell’assurdità? Come si fa a dire che il corpulento commerciante non esiste? Fuggito dalla caserma, perché giustamente non voleva stare lì mentre aveva da attendere ai suoi commerci, si presenta all’ufficio anagrafe. L’impiegato gli chiede il documento attestante l’espletamento del servizio militare, al che il povero Joe non può che mostrare l’evidenza della divisa che indossa. Perso il controllo per l’ennesimo intoppo, il nostro eroe raggiunge l’ufficio del ministro, e impossesatosi del timbro si mette a timbrare tutti i documenti che gli irritatissimi cittadini gli sottopongono, giubilandolo come eroe: un tripudio di libertà. La vita di tante persone bloccate da un timbro, o meglio dalla volontà di sopruso di un politico, che non ha avuto nessun problema, dietro lauta tangente, a rilasciare tutte le licenze del caso al gangster. Insomma, lo Stato si pone come tappo per le attività delle persone e chiede una tangente per toglierlo. Banana Joe, ovviamente finisce in carcere dove rincontra il truffatore che nel frattempo con le sue innumerevoli amicizie è riuscito a fare ottenere la licenza al commerciante. Ancora un riferimento all’Italia, dove per superare gli inghippi burocratici è necessario rivolgersi all’amico giusto?
Usciti dal carcere, i due raggiungono il villaggio nella foresta dove ormai è stata costruita la casa da gioco. Fedele al suo personaggio, Joe la demolisce prendendo a pugni tutti i gangster. A demolizione avvenuta si presenta la polizia, ma stavolta inviata dal presidente del paese alla ricerca del truffatore per ringraziarlo. Il presidente è convinto che la moglie finalmente partorirà un figlio maschio grazie alle misteriose pillole procuratogli dal furbo imbroglione. La polizia, non più guidata da funzionari corrotti, riconosce il gangster come un pluriricercato e lo arresta. Si può dire che l’unica figura statale positiva è il presidente credulone, che come un vecchio sovrano concede il perdono al simpatico truffatore. Sara un caso? O forse come ci insegna lo studioso Hoppe le monarchie non erano poi tanto male? Dopotutto se in Italia il fascismo non è stato totalitario, fu grazie alla presenza della Monarchia e della Chiesa. Un’ultima nota, il personaggio femminile. Come ogni eroe che si rispetti anche Banana Joe deve avere la sua bella. Sempre per rimanere nel filone dei buoni sentimenti, la bella è la pupa del gangster, che Banana Joe in qualche modo redime. Il trionfo dei buoni sentimenti, ma a noi piace così! Interessante, il fatto, che la bella rimane nel villaggio per diventare la maestra dei bambini protetti da Joe e ovviamente di Joe stesso. Qui c’è una grossa differenza da evidenziare: la civiltà portata dallo Stato è quella del vizio di cui è promotore il gangster, mentre il privato sotto le belle forme della maestra porta un po’ di cultura senza imporre niente. Da una parta prepotenza, corruzione e vizio, dall’altra una scuola all’aperto per tutti. Che bella differenza! Questa ci riporta alla mente la colonizzazione, quando a grandi linee, il privato sottoforma di Chiesa agiva in modo più o meno corretto, mentre quando agiva lo Stato iniziava lo sfruttamento.
pubblicato in origine su Ultima Thule
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