giovedì 29 dicembre 2011
PRIVATIZZIAMO LA RAI
martedì 27 dicembre 2011
Chi guadagna sovversivo è …
giovedì 22 dicembre 2011
Nuova formula della benzina: non più petrolio ma tasse!
martedì 20 dicembre 2011
MONTI NON È DISPERATO, MA L'ITALIA ADESSO SÌ
lunedì 19 dicembre 2011
Aforisma contribuente
Ronald Reagan
giovedì 15 dicembre 2011
Tea Party Italia sulla prima pagina di Libero
lunedì 12 dicembre 2011
MISERIA E RECESSIONE: LA MANOVRA DI MONTI CI RENDERÀ TUTTI PIÙ POVERI
martedì 6 dicembre 2011
Non avrai altro Dio all’infuori dello Stato
di Luciano Capone
Può sembrare assurdo pensare che lo Stato moderno sia una religione. Se leggete Credere nello Stato? – teologia politica e dissimulazione da Filippo il Bello a Wikileaks di Carlo Lottieri, vi ricrederete. Anzi, è probabile che diventiate apostati della “forma più sofisticata e potente di dominio dell’uomo sull’uomo”. Non a caso in copertina c’è l‘effige dell’incoronazione di Bokassa, massima manifestazione della signoria antropofaga dello Stato. Il filosofo libertario in maniera semplice ed efficace, pur trattando temi astratti e complessi, va alla ricerca della legittimazione dello Stato e prova a separare il destino del liberalismo da quello del potere istituzionalizzato e centralizzato.
Quindi, Professore, i termini “religione civile”, “Bibbia laica” (riferito alla Costituzione) o “patriottismo costituzionale” non sono un mero artificio retorico. Per lei davvero lo Stato si considera una religione?
Lo Stato è un’entità moderna ed europea che ha avuto bisogno di poggiare su fondamenta metafisiche. Gli apparati politici della modernità sono riusciti a usare il cristianesimo quale strumento di legittimazione e, in una seconda fase, se ne sono liberati per affermarsi essi stessi come divinità. In linea di massima si pensa che il linguaggio para-religioso, o in qualche caso anche esplicitamente sacrale, che è impiegato dagli uomini di Stato e da molti intellettuali schierati a difesa delle istituzioni moderne, rinvii a similitudini. Non credo, e non si tratta neppure di lapsus. Lo Stato non può accontentarsi di disporre dei nostri soldi e delle vite perché, se non dispone anche delle nostre anime, rischia di perdere tutto.
Già un autore come Carl Schmitt aveva parlato di “teologia politica”. Vuol dire forse che la secolarizzazione in realtà non è mai avvenuta? Dietro ogni concetto politico c’è sempre la prospettiva della fede?
Per Schmitt, e penso che avesse ragione, il processo moderno di secolarizzazione, non conduce verso un’età in cui nessuno non crede più a nulla. In realtà apre la strada a nuovi credo e, in particolare, al trionfo del Dio-Stato. La politica finisce per togliere spazio alle comunità religiose, alle tradizioni, alle famiglie e alle imprese, ma questo esito non sarebbe comprensibile se non cogliessimo come il Potere moderno realizzi una forma di mimesi del Dio cristiano: se Dio è eterno, lo Stato si vuole perpetuo, se Dio è creatore lo Stato si rappresenta quale sovrano.
Sono esistiti Stati che imponevano l’ateismo (nei paesi comunisti) o anche una forma di “religione dello Stato” (la Francia rivoluzionaria). Ma oggi in Occidente esiste la libertà religiosa, come fa a dire che lo Stato è una religione se dà libertà di culto?
Quella statuale è una “tolleranza dimezzata”. Lo Stato ci lascia di liberi di essere buddisti o cattolici, atei o ebrei ortodossi, musulmani o agnostici, ma su una cosa non transige: dobbiamo essere cittadini. Nel rapporto con lo Stato il cittadino-suddito (che è suddito perché non può sottrarsi alla propria condizione) non deve soltanto pagare le imposte e obbedire alle decisioni del ceto politico, ma soprattutto deve in qualche modo accettare i dogmi, i riti, le mistificazioni e le rappresentazioni sacre che lo Stato costruisce attorno a sé. Le cosiddette “celebrazioni” dei 150 anni dall’unità ne sono state una prova evidente.
Già dopo la Rivoluzione francese Tocqueville si era accorto che l’apparato statale e burocratico era diventato più imponente. La vittoria contro l’Assolutismo ha quindi posto le basi per una maggiore concentrazione del potere?
In larga misura è così. La nuova situazione aperta dalle logiche rivoluzionarie ha avuto alcune conseguenze: centralizzazione, spersonalizzazione, rappresentazione. Questi cambiamenti hanno permesso, nel corso dei decenni, che i nuovi governanti finissero per disporre in maniera ancor più significativa dei loro sudditi. Qui non si tratta evidentemente di rimpiangere l’ancien Régime, ma di sottolineare che, se gli antichi sovrani secenteschi potessero tornare in vita, sarebbero pieni di ammirazione di fronte al controllo minuzioso e tendenzialmente totalitario che gli Stati post-rivoluzionari sono riusciti a predisporre.
Ma se ora c’è lo Stato e prima c’era l‘Assolutismo, c’è mai stato un periodo storico in cui individui e libertà erano maggiormente garantiti?
La storia della libertà è una storia difficile da tracciare. Nel libro mi sforzo di mostrare come alcune libertà siano state meglio tutelate in taluni periodi e altre in altri. È però vero che l’ordine giuridico medievale, benché presti il fianco a molte e motivate critiche, avesse quanto meno il vantaggio di avere evitato ogni concentrazione del potere. La frammentazione istituzionale e la sovrapposizione dei livelli giuridici ha creato uno spazio di libertà che ha visto emergere il capitalismo e che ha aiutato enormemente gli europei a sviluppare scienza ed economia.
Il pensiero di tradizione comunista, che ha criticato lo Stato partendo da basi puramente economiche, si è poi a sua volta trasformato in una religione. È una tendenza del potere in generale quella di acquisire caratteri religiosi?
In qualche modo sì, perché ogni potere ha bisogno di legittimarsi e non esiste una forma di legittimazione più potente. Bisogna sempre tenere a mente quanto sia innaturale il fatto che alcuni uomini sottraggano sistematicamente risorse ad altri uomini, o il fatto che alcuni costringano altri a obbedire, a combattere, a credere in taluni principi. Per realizzare tutto questo la classe politica deve controllare la violenza, ma deve soprattutto penetrare nei cuori. Ecco perché è così frequente ritrovare elementi di “religiosità civile” nella retorica posta a protezione delle nostre istituzioni, che pure si dicono “laiche”.
Una obiezione al suo ragionamento: in questo momento, si pensi alla situazione attuale dell’Italia o della Grecia, gli Stati perdono potere a favore degli organismi internazionali senza nemmeno opporre troppa resistenza. Sta crollando la teologia che sorregge lo Stato?
La nostra situazione è paradossale. Di fatto lo Stato sta entrando in crisi, ma noi non riusciamo a concepire la vita sociale al di fuori delle sue logiche, con il risultato che gli organismi internazionali rischiano di riprodurre – e per giunta a un livello potenziato – i vizi della statualità. Tra l’altro lo Stato sorge essenzialmente alla periferia dell’Europa (Sicilia, Francia, ecc.) e nasce dalla sconfitta del tentativo imperiale. Ciò che non riuscì all’imperatore fu invece ottenuto dai re. Ora il rischio è di vedere i nuovi sovrani cartellizzarsi in un edito e minaccioso Impero.
Vista la sua tesi, la maggior parte dei liberali classici e dei libertari ha forse sbagliato nel pensare di poter condurre una lotta al potere statale che fosse solo di tipo economico?
Mostrare l’irrazionalità e di conseguenza il carattere fallimentare dei sistemi economici sociali organizzati dall’alto – in vario modo regolati, pianificati, programmati – è importante. Ma ritengo che un liberalismo consapevole debba cercare di comprendere per quali ragioni il potere è tanto forte e perché, in una nuova versione della “sindrome di Stoccolma”, molte vittime sono così innamorate dei propri carcerieri. Un liberalismo dei diritti che non poggi in qualche modo sul riconoscimento della trascendenza dell’altro – del valore assoluto del prossimo – è destinato prima o poi a dissolversi.
lunedì 5 dicembre 2011
Lo spread
Per spread si identifica una differenza tra un prezzo ed un altro. Quando si parla di spread tra BTP e Bund tedesco, altro non è che la differenza del rendimento tra i 2 titoli. Questa differenza è un indice di quanto sia sicuro il debito. Viene presa la Germania come riferimento perchè i suoi tassi sono i più bassi.
Gli stati si finanziano emettendo obbligazioni (BTP, BOT, CCT). In questo caso prenderemo in esame il BTP. Il BTP (Buono Pluriennale del Tesoro) viene emesso dallo stato attraverso delle aste pubbliche.
Io stato chiedo un prestito di un miliardo di euro, te lo restituisco tra 10 anni e ti pago un interesse del 4% ogni anno. Per convalidare questo contratto lo stato emette il Buono Pluriennale del Tesoro.
Il detentore del buono ogni anno riceverà l'interesse pattuito. L'interesse che paga lo stato è fisso per i prossimi 10 anni. Io che detengo il btp posso avere necessità di rientrare del capitale investito, non posso richiederlo allo stato prima di 10 anni e quindi mi rivolgo al mercato. Il mio BTP verrà quindi comprato da qualcuno che invece gli avanzano dei soldi e vuole investirli. A quale prezzo verrà effettuata la transazione? Ai prezzi del mercato. Qui intervengono gli spread. Se il mercato fa calare il prezzo del BTP (quindi il capitale investito) io riceverò un interesse maggiore. Lo stato continua a pagare il 4% del capitale ricevuto. Io ho comprato 100 e rivendo a 98, ho perso il 2% del capitale. L'acquirente riceverà l'interesse del 4% di 100 ma su un capitale investito di 98.
Lo spread quindi si applica solo al mercato secondario. Lo spread è un indicatore del rischio del paese. Maggiore rendimento = maggiore rischio. Lo spread non influenza minimamente i tassi di interesse che lo stato paga per le le obbligazioni già emesse. Ma solo le prossime in maniera indiretta. Alla prossima asta lo stato dovrà aumentare i tassi di interesse per poter invogliare gli investitori a correre il rischio su di se.
domenica 4 dicembre 2011
Tagliare gli stipendi pubblici
Ho calcolato che se si riducesse del 50% la parte che eccede i 50.000 euro degli stipendi pubblici (ad es. chi guadagna 60.000 prenderebbe 55.000), lo Stato risparmierebbe 3.25 miliardi di euro l'anno. Sarebbero toccati quasi 260.000 dipendenti pubblici (solo quelli con stipendi sopra i 50.000 euro, appunto).
lunedì 28 novembre 2011
Successo per la manifestazione in piazza San Babila
giovedì 24 novembre 2011
Manifestazione 26 novembre Milano Piazza San Babila
mercoledì 23 novembre 2011
23 novembre1986, la prima marcia di liberazione fiscale
domenica 20 novembre 2011
L'epopea libertaria di Banana Joe
pubblicato in origine su Ultima Thule
martedì 15 novembre 2011
Il censimento e il Natale
venerdì 11 novembre 2011
lunedì 7 novembre 2011
Tea Party Lodi
http://teapartylodi.tumblr.com/
Benvenuti ai nuovi amici.
TP Piemonte
domenica 30 ottobre 2011
All’ombra della crisi piccoli liberali crescono
Pubblicato Sabato 01 Ottobre 2011, ore 8,30 su Lo Spiffero
Sono i nipotini di Einaudi e Hayek e hanno in Ricossa il loro indiscusso maestro. Sotto la Mole un gruppo di giovani e brillanti studiosi professa (rinverdendola) la rivoluzione liberale: Stato minimo, privatizzazioni, meno tasse, meritocrazia

Si oppongono alla presenza sempre più invasiva dello Stato nella vita di ogni singolo individuo, lo "Stato massimo" un Moloch, il Leviatano hobbesiano che determina le regole e poi pretende di giocare la partita, spesso anche senza avversari, come nel caso dei tanti regimi monopolistici ancora esistenti, dai servizi pubblici alle sigarette. «Quando lo Stato diventa imprenditore esercita una concorrenza sleale nei confronti di chi imprenditore lo è davvero e rischia il proprio capitale, non quello della collettività» spiega Riccardo De Caria (nella foto a sinistra), 27 anni, alle spalle una laurea in giurisprudenza, un dottorato e un master alla London Scholl, ricercatore all'Università subalpina.
Affamare la bestia in modo da dare libero sfogo agli ancestrali animal spirits: meno Stato, più mercato, concorrenza, meritocrazia. «Il pubblico ha usurpato la comunità di ogni prerogativa: uccidendo le vecchie società di mutuo soccorso e tutti quei modelli associazionistici che si erano affermati tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. A fronte di una tassazione sproporzionata offre dei servizi limitati e spesso inefficienti». A parlare è Domenico Monea, studente di medicina appena 22enne. E se gli si chiede quale possa essere la sua idea di welfare risponde: «Lo Stato oggi è la versione secolarizzata della religione. La gente si aspetta che si sostituisca a Dio e fornisca una risposta a ogni loro esigenza».
Sono in gran parte studenti o professionisti a inizio carriera, hanno un’età che varia tra i 20 e i 30 anni e, a differenza dei loro genitori (politici), non provano alcuna soggezione nei confronti delle ideologie egemoni che, seppur sbrindellate, vanno per la maggiore tra i coetanei. Comunicano attraverso internet, molti di loro hanno già vissuto esperienze lavorative o formative all’estero, come Giovanni Boggero, tra i fondatori, con De Caria, di Ora Liberale e collaboratore del giornale on line Linkiesta, attualmente a Berlino per un dottorato. Hanno vissuto esperienze più o meno travagliate nelle giovanili di partito - dall’Italia dei Valori al Pdl - tutti, però, ne sono usciti, persuasi del fatto che «oggi nessuno è in grado di rappresentare queste istanze» spiega uno dei coordinatori del Tea Party torinese, Vito Foschi. Concordano nel definire l’ultima Finanziaria, lontanissima da ciò che loro professano («abolizione degli ordini professionali, liberalizzazione dei servizi pubblici, dismissione da parte dello Stato e degli enti locali di società e imprese nelle quali detengono delle partecipazioni, sburocratizzazione della pubblica amministrazione, taglio della spesa pubblica, abbattimento delle tasse e misure per favorire la libera imprenditoria») e non escludono un default imminente per l’Italia: «Il che non è detto sia una cattiva notizia – riflette Niccolò Viviani (foto in alto a destra), 22 anni, futuro ingegnere gestionale, considerato un enfant prodige –. Anzi, potrebbe essere l’unica via per rifondare la nostra nazione su presupposti nuovi».
venerdì 28 ottobre 2011
I sindacati e l’isola che non c’è
mercoledì 19 ottobre 2011
"La Sfida per le Primarie (Dibattito del 18 ottobre 2011): le Risposte di Ron Paul"
- Lei ha definito “pericoloso” il piano Cain. Perché?
- È un piano pericoloso, accresce gli introiti fiscali e rappresenta un’ipotesi di imposta regressiva. Ma il punto principale è: “con cosa sostituireste il minor gettito derivante dalla soppressione dell’imposta sul reddito?” NULLA! Questa è la mia risposta. Vorrei far rilevare che la spesa pubblica è già, di per sé, una “tassa”; il governo può spendere attraverso i proventi dell’imposizione fiscale, il prestito o la creazione di nuova moneta (e quindi i prezzi salgono, ciò che succede oggi). A pagare sono sempre i cittadini. Questo è il motivo per il quale propongo un taglio iniziale da 1 trilione di dollari! La spesa è il problema.
giovedì 13 ottobre 2011
Ritornare al capitalismo per evitare le crisi
Presenti anche Vincenzino Caramelli, docente di scienza delle finanze all'università di torino, facoltà di giurisprudenza e portavoce del CIDAS (grazie al quale è stato possibile realizzare l'evento) e Carlo Lottieri, filosofo del diritto presso l'università di Siena.
Intervenendo per primo, Salin ha subito voluto chiarire come l'attuale crisi del debito sovrano non sia affatto una conseguenza dell'immoralità
L'autore ha poi puntato il dito contro l'atteggiamento
Ulteriore enfasi è stata posta da Salin su un fattore spesso ignorato dalla letteratura economica contemporanea: la dissociazione tra governance (scelte aziendali) e proprietà sostanziale. Portando l'esempio degli istituti bancari del XIX e XVIII secolo, l'autore ha sottolineato la differenza sostanziale che intercorre tra questi ultimi e quelli oderni: i proprietari dei primi erano anche coloro che si occupavano delle scelte manageriali ed imprenditoriali
In sostanza non ci troviamo più di fronte ad un sistema capitalistico (da intendersi come "sistema di legittimi diritti di proprietà"), ma ad un sistema pesantemente distorto dall'intervento
Per Salin, gli Stati e le loro politiche keynesiane sono i responsabili principali di questa crisi, essi non possono farsi promotori di stabilità finanziaria e monetaria.
La presentazione ha poi visto l'intervento di Carlo Lottieri, che si è soffermato sul concetto di "lotta di classe" nelle socialdemocrazi
Salin ha quindi chiuso la presentazione con una nota sul futuro: sconfiggere l'interventismo
Luigi
domenica 9 ottobre 2011
La bufala del sommerso
Nel seguente articolo è spiegato molto bene il meccanismo del sommerso nel pil.
http://www.gragusa.org/blog/2011/09/pil-ed-economia-sommersa/
il pil totale viene calcolato inserendo all'interno anche il valore del sommerso che viene stimato dall' istat .Nel 2008 viene stimato in circa il 17% .
Cosa vuol dire questo? che se si accertasse che il sommerso è inferiore a questo valore si avrebbe una riduzione del pil con conseguente aggravio del deficit. Viceversa l'aumento di questo valore farebbe aumentare il pil con conseguente diminuzione del deficit.
Il valore del sommerso è stimato e quindi per definizione variabile. Non si sa esattamente chi evade e anche la distinzione fra economia sommersa ed economia criminale è molto labile e quindi ci possono essere dei travasi fra l'una e l'altra difficilmente calcolabili. Il camorrista che prende il pizzo evade l'IVA come il commerciante che non da lo scontrino. Nel primo caso è economia criminale , nel secondo è economia sommersa. Veniamo al punto: il variare del calcolo del sommerso nel pil varia di molto il calcolo del deficit senza che vi siano interventi di tipo economico sul bilancio dello stato. Questo spiega il perchè la classe politica tutta, maggioranza ed opposizione, picchia così forte sull'evasione. Non perchè colti da spirito etico ma semplicemente per spingere quel valore verso l'alto. Se l'istat certificasse un 18% magicamente il valore del deficit si abbasserebbe dell'1%. Tutti infatti si affrettano ad ingigantire il valore del sommerso perchè solo un incremento certificato può portare ad un incremento del pil. A fronte di un pil con un 17% aleatorio, lo stato spende un 17% reale.
L'economia sommersa viene inserita in tutti i pil. Guarda caso la grecia è quella che ha l'evasione più alta di tutti. Non ha importanza che sia vera o falsa, l'importante è che rientri nel pil col valore più alto possibile.
sabato 24 settembre 2011
Arenaways: la compagnia ferroviaria che non si arrende, intervista a Giuseppe Arena
Se per un imprenditore essere competitivo e fare concorrenza non è mai facile in nessun settore, è quando ci si confronta con lo Stato e i suoi monopoli più o meno protetti, che anche solo stare sul mercato comincia a farsi veramente arduo. Il recente passato del nostro paese pullula di molti esempi in tal senso, ma alla fine i risultati si possono restringere a sole tre categorie: le imprese che sono state costrette ad uscire dal mercato, quelle che sono prosperate grazie a lobby politiche che le hanno aiutate e quelle che hanno sempre cercato di farcela da sole e continuano a lottare nonostante non abbiano appoggi.
La prima categoria comprende casi come Europa 7, l’emittente privata che pur avendo vinto negli anni ’90 la gara per l’assegnazione delle frequenze televisive davanti a Rete4, non è mai riuscita - grazie a veti politici - a trasmettere su scala nazionale. Un altro caso poco conosciuto è quello di Aexis Telecom, società - di cui fui uno dei primi abbonati - altamente concorrenziale, con 18mila lire al mese a fine anni ’90 consentiva di fare tutte le chiamate urbane più internet, ma Telecom Italia non gradì l’iniziativa, e la pressione fu tale che la vicenda trovò pochissimo spazio sui media e si può giustamente rubricare nei misteri economici d’Italia.
Le aziende che ce l’hanno fatta perché scese a patti con le lobby politiche non le citerò perché si conoscono e sono ben attive, invece di fare concorrenza hanno scelto di diventare monopoliste loro stesse, con l’aiuto determinante dello Stato, “drogando” interi settori economici nazionali come TV, stampa, automotive, ecc.
Nella terza categoria si colloca Arenaways, una delle pochissime società se non l’unica a tentare di fare concorrenza alle carrozze, o meglio al carrozzone di Trenitalia; fondata nel 2006 da Giuseppe Arena che ha avuto l’idea di inserirsi nel processo di liberalizzazione delle rete ferroviaria italiana (RFI) dopo una più che ventennale carriera in diversi ambiti del trasporto ferroviario con progetti in diversi paesi europei e una chiara vocazione all’innovazione.
Nel 2009 la società ottiene tutti i certificati necessari e vuole partire con un interessante circuito ad anello che avrebbe toccato Torino, Novara, Milano Novara, Vercelli, Santhià, Alessandria, Asti e Pavia. Dopo le prime difficoltà burocratiche il progetto è stato limitato alla tratta Torino-Milano, ma anche in questo modo gli uffici del ministero dei trasporti hanno dato parere negativo non permettendo di effettuare le fermate intermedie, incidendo così pesantemente sulle possibilità di stare sul mercato dell’azienda che secondo il rapporto avrebbe “compromesso l’equilibrio economico del contratto di servizio di Trenitalia”. Termini tecnici per un ossimoro: si deve liberalizzare, ma non si deve fare concorrenza a Trenitalia dove non vuole!
Arenaways è ora in esercizio provvisorio e ha dovuto portare i libri in tribunale, ma Giuseppe Arena non si arrende, il 6 ottobre aspetta la sentenza del ricorso al TAR: “nel frattempo continuiamo ad andare avanti con i treni turistici Autozug che collegano Alessandria e Trieste con le grandi città tedesche e permettono di portare l’auto al seguito”. L’ottimismo e l’attivismo di Arena si scontrano però con forti resistenze a mantenere lo status quo, l’ultimo attacco alla concorrenza sulle rotaie è arrivato in finanziaria, dove è stata inserita una norma che obbligherà tutti gli operatori privati del settore ferroviario ad applicare ai propri dipendenti il contratto collettivo delle Ferrovie dello Stato. Un altro modo per bloccare il processo di liberalizzazione del servizio, che ha suscitato le proteste di Catricalà e del gruppo di imprese ferroviarie private sia merci che passeggeri.
Cosa chiederebbe Giuseppe Arena per poter davvero aprire il mercato ferroviario? “innanzitutto gare regionali aperte, in modo da poter competere ad armi pari con il settore pubblico che ora sfrutta contratti di servizio con le regioni”; poi la cosa forse più interessante: “non fare niente!” meno interventi e regolamentazioni pubbliche ci sono e meglio si può lavorare, all’estero infatti le compagnie ferroviarie private sono ormai una realtà affermata come in Germania dopo sono oltre 300, in Austria sono una decina e molte esistono anche in Svizzera.
Una normativa da rivedere sarebbe l’art 59 della Legge 23 luglio 2009, che sostanzialmente consente all’URSF (Ufficio di regolazione dei servizi ferroviari) di limitare i vettori privati se osano turbare l’equilibrio economico di contratti di servizio esistenti con Trenitalia.
Le reazioni dei pendolari come sono state? Dovrebbero essere la categoria più interessata a migliorare il servizio. “Devo dire che mi hanno in parte deluso, non ho avuto il sostegno che mi aspettavo ne manifestazioni di solidarietà”, forse molti si sono arresi ad avere un servizio mediocre e si limitano a protestare con le regioni. Regioni, che come il Piemonte sembrano indifferenti o impotenti a cambiare la situazione, come l’assessore ai trasporti Barbara Bonino che nell’ultimo tavolo con Arenaways non si è neppure presentata, ed è stranamente toccato al presidente della provincia di Torino Antonio Saitta prendere le parti della compagnia privata.
Dopo aver analizzato tutte queste traversie, si può capire quanto veramente soli siano gli imprenditori che in Italia vogliano fare il loro mestiere senza chiedere aiuti di stato, o umiliarsi a fare il “giro delle sette chiese” cioè dei partiti e delle lobby politiche.
Rossano R.